Sono: “Riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano”; così recita il testo della prima ricerca fatta per scoprire cosa sia la Settimana sociale dei cattolici italiani. Di certo allora, se serve una guida, una testimonianza di ciò che succede nella vita reale, lontano dai palazzi istituzionali e immersa nel tessuto urbano e sociale…noi non potevamo mancare!
Così, tra il presidente Sergio Mattarella, il Cardinale Zuppi e Monsignor Luigi Renna (vescovo della città di Catania), è volata a Trieste, per prendere parte alla cerimonia d’apertura della cinquantesima edizione dell’evento, anche l’ingegnera Carla Barbanti in rappresentanza di tutti e tutte noi.
Se è vero che, eventi del genere possono divenire tasselli fondamentali per tessere una leale cooperazione con le istituzioni e per raccontare e raccontarsi direttamente a chi, forse, non ha contezza di ciò che succede nella così detta «vita reale»; è vero anche che in quel mondo di finzione dove: luci e trucchi ci aiutano a sembrare migliori di come dovremmo essere, siamo obbligati a conformarci ai modi e ai tempi della televisione che scandisce il ritmo delle nostre vite parallele.
Credendo allora nel valore delle narrazioni reali e nel potere dell’auto-narrarsi, scegliamo questo spazio per condividere il discorso integrale di Carla Barbanti scritto per la cerimonia di apertura della settimana sociale dei cattolici italiani.
“Buon pomeriggio a tutte e a tutti,
per me è un onore essere qui oggi, in rappresentanza di un gruppo molto più ampio che è la Cooperativa Sociale di Comunità Trame di Quartiere che opera a San Berillo: un quartiere del centro storico della città di Catania.
È davvero difficile poter condividere con voi in 5 minuti l’immensità di un lavoro cooperativo che va avanti da molti anni, in un contesto, che, per raccontarlo potrei aver bisogno dell’intera settimana sociale!
San Berillo…di cosa si tratta?
San Berillo oggi è un quartiere che ben rappresenta gli effetti urbani di un intervento calato dall’alto che ha completamente trasformato la sua identità. Negli anni Sessanta, infatti, per ragioni di salubrità e al fine di cambiare volto alla città di Catania per avere una ‘Milano del Sud’, il quartiere è stato quasi interamente demolito e 30.000 persone sono state sradicate dalle loro case e dalla loro quotidianità per essere spostate in un quartiere periferico della città (oggi si parla di decoro urbano, ma poco cambia!). Un’opera che nasce come «di interesse pubblico» ma che a distanza di sessant’anni è ormai stata rinomata come una delle opere speculative più grandi di Italia.
Dove operiamo oggi?
Ecco, il tessuto urbano resistito allo sventramento è dove noi abbiamo scelto di operare. Un quartiere che nella narrazione main stream è stato nei decenni considerato pericoloso, degradato, ‘da evitare’ solo per la presenza di sex workers, migranti, spacciatori, senza tetto. Un quartiere ‘abbandonato’ dove tuttavia persone di diversa cultura, nazionalità e colore della pelle hanno trovato un riparo. Tra i vicoletti di San Berillo e i palazzetti abbandonati da proprietari, uomini, donne, trans hanno trovato una casa perché esclusi da tutte le altre parti della città.
Da dove siamo partiti?
Il nostro lavoro inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni: tessere Trame di un quartiere. Così iniziamo nel 2011 a realizzare una mappatura di comunità dando voce a chi abitava il quartiere e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite una web serie online (san berillo webserie doc), interventi performativi in strada, e tramite un’esposizione che racconta la storia del quartiere e continua a raccogliere nuovi contributi.
Vivere la quotidianità di un quartiere che versa in queste condizione, ci ha aiutato a capire che invertire la narrazione main stream era solo il primo passo, bisognava: non solo riabitare il quartiere sfidando il pensiero diffuso e comune di chi pensava che una ristrutturazione di quel patrimonio culturale, abbandonato e sofferente era quasi impossibile da realizzare, ma anche offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e al contempo creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche.
Chi vive San Berillo
Oggi, il quartiere, racchiude le vulnerabilità che la città di Catania non vuole vedere e non vuole affrontare. A partire dalle persone migranti che impossibilitate dallo spostarsi perché in preda agli infiniti tempi burocratici per avere i documenti, restano bloccati in un limbo di immobile attesa nel quale non potendo lavorare trovano attività informali per sopravvivere. Ad attraversare il quartiere sono anche persone sole, escluse dalle loro famiglie solo perché non si riconoscevano nel genere in cui sono nati; persone che per fuggire dalle sofferenze si sono rinchiuse nella dipendenza da alcool, crack, cocaina.
Come nasce la cooperativa?
Un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità. Dopo un attento lavoro di analisi , riusciamo nell’impresa di ristrutturare un palazzo ottocentesco, grazie a: un proprietario che decide di cedercelo in comodato d’uso, a soggetti finanziatori come Fondazione CON IL SUD, a organizzazioni partner e grazie alle idee e alle braccia di milioni di persone che hanno iniziato a rimuovere tutti i rifiuti accumulati in decenni di abbandono; riusciamo a procedere con il miglioramento sismico ed è così che Palazzo De Gaetani, la nostra sede, diventa uno spazio aperto al quartiere e alla città.
Nel 2020 grazie a Confcooperative Sicilia si formalizza la nostra cooperativa di comunità. Palazzo de Gaetani diventa caffetteria sociale con servizi di prossimità, un luogo dove puoi prenderti un caffè ma al contempo andare al bagno, ricaricare il telefono, trovare ascolto ed essere informato sugli sportelli presenti nello spazio e in città (legali, sanitari, per ricerca casa, etc.). Trovi un luogo dove incontrare persone, costruire reti che possano amplificare le possibilità di crearsi un futuro, ma anche condividere momenti di scambio culturale, divertimento, spensieratezza, passione. Nel nostro spazio vengono progettate ed ospitate molte iniziative culturali anche in collaborazione con gli abitanti del quartiere, che offrono preziose possibilità di incontro con l’altro ed espressione di identità. In fondo se ci pensiamo, quanto le relazioni che costruiamo nel corso della nostra vita incidono su quello che noi oggi siamo?
Trovi un housing al primo piano con due appartamenti, uno dove oggi abitano 9 persone con nazionalità differenti (italiana, nigeriana, gambiana) e uno dove abita una famiglia nigeriana. Persone che non sono riuscite a trovare casa a Catania e che vengono supportate per un anno a trovare un lavoro regolare e una casa con contratto di affitto.
E mentre facciamo questo proviamo a chiedere all’Amministrazione Locale che supporti le vulnerabilità presenti perché tutta la migliore cooperazione da sola non riesce se non c’è un supporto pubblico ai casi di vulnerabilità estrema e in un quartiere dove una parte del patrimonio è in una condizione fisica fatiscente.
Rigenerazione urbana…ma per chi?
Eppure, anche rispetto alle grandi opportunità del PNRR la «partecipazione» voluta dalle nostre amministrazioni ha completamente vanificato tutti gli sforzi di portare le tante voci di chi quotidianamente abita il quartiere ma non viene considerato nel progettarne il suo recupero. In questi momenti il senso di frustrazione è grande. Perché ad alcune persone non viene riconosciuta una dignità umana? Perché non vengono riconosciute voci valide a decidere sulle trasformazioni del proprio quartiere?
Tuttavia, di fronte a giovani che vengono sfrattati perché le case hanno aumentato il prezzo e dovranno essere destinate a B&B, stranieri che vengono rimpatriati, porte di edifici del quartiere che anziché essere aperte vengono murate, proviamo a resistere e a sperimentare e promuovere una riattivazione del quartiere che sia inclusiva a partire proprio da chi lo abita. Come direbbe una signora che da trent’anni abita San Berillo «dobbiamo resistere, il quartiere non può morire, non ci possono buttare via come scarti».
Ecco, la cooperazione di comunità può essere una grande opportunità per fronteggiare gli individualismi che ci portano lontano dal benessere, una opportunità per promuovere un recupero delle aree urbane marginali a partire dalle persone che sono più escluse da un sistema in cui il mercato guarda sempre più al profitto e non considera più la casa come bene primario e in cui il diritto all’abitare è costantemente minacciato. La cooperativa di comunità valorizza le diversità rendendole risorse dei nostri contesti per raggiungere città più giuste e inclusive.
Questo, nel nostro piccolo, proviamo a fare, questo è quello che dietro l’etichetta di ‘degrado’ svela il quartiere di San Berillo.”