
È una lunga storia…
Abbiamo cominciato col gioco del Se fosse… chiedendo a chi vive San Berillo di immaginare il quartiere come una vivanda, un mobile, un’opera d’arte. Poi sono iniziati gli incontri e i riti, soprattutto quelli che lanciano in un punto nero lontano ciò che si vuole dimenticare per andare avanti e trattengono ostinatamente quanto si riesce a nettare dal dolore e si continua ad esperar sul ciglio della strada.
È passato più di un anno da allora e nel frattempo lo strumento del Teatro sociale che lavora con il corpo, con lo spazio, con la relazione, con gli sguardi, con la parola ha trovato un posto tra i muri e le strade di San Berillo facendosi carico di pulsioni, di scoperte, di confidenze, scivolando silente e chiassoso lungo i vicoli per farsi racconto intimo e corale.
Con morbidezza e densità, ha esplorato le mille sfumature dell’identità sessuale e ha con vigore politico ridisegnato nuovi confini nella geografia delle relazioni di genere.
Tracotante, ha disseminato di interrogativi il nuovo volto del quartiere che prova a rigenerarsi, pur sapendo di non essere un’eterna araba fenice e temendo i rinnovati stupri che sanno piegare i quartieri dimenticati delle città che dimenticano.
Ebbro di parole, ha interrogato le pagine dei giornali e dei libri che riposano nelle teche del passato e si è fatto raccontare storie dalla strada; e con quelle parole ha inventato personaggi che hanno gambe e mani e pensieri e occhi che si intrecciano sul palcoscenico del quartiere a costruire una tessitura di vite e sentimenti capaci di parlare di sé.
…che continua nel presente
Adesso è pronto. Abbiamo le parole, abbiamo i fatti, abbiamo le storie. Abbiamo le verità e abbiamo la finzione. Arriveranno altri uomini e altre donne che raccoglieranno tutto questo e lo mostreranno alla città, attraverso la più antica delle arti: il teatro, l’eterno gioco del Se fosse…
E l’attesa dell’attore e dello spettatore prima di andare in scena sarà riempita passo passo da parole e immagini che vi racconteranno pezzi ebbri di questo tempo che Bianca, Dario, Fabio, Andrea, Francesco, Ana, Eleonora, Giuseppe, Giorgia, Mario, Giulia, Alessandra, Giuseppe, Flavia, Gioia, Lara, Giovanna, Vera, Giorgia, Linda, Manuela, Peppino, Massimo, Alfio, Verdiana, Marco, Lidia hanno trascorso insieme per interrogarsi e interrogare, per guardarsi e guardare. E per raccontare, ad alta voce, attraverso la verità della finzione, certo, ma senza infingimenti. Andando dritto al cuore dei fatti, avendo chiaro che «un fatto è come un sacco: vuoto non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato».
Riempiremo dunque in questi giorni l’attesa prima che inizi lo spettacolo.