Il modello arancino: Se con il turismo mangiamo tutti, il conto chi lo paga? PARTE 2

Il modello arancino: Se con il turismo mangiamo tutti, il conto chi lo paga? PARTE 2
23 Ottobre 2024 giuliana pappalardo

Oggi vi proponiamo la seconda parte ( la prima potete recuperarla QUI ) della nostra riflessione sul modello di sviluppo per Catania improntato sul turismo, rinnovando la speranza che possa generare un dibattito pubblico e proposte. Buona lettura!!!!!

E poi ci vorrebbe un bene particolare, meglio se genuino ed unico, che racchiuda l’essenza di Catania e sia capace di raccontare una storia: e cosa c’è di più tipico, di più connaturato all’idea stessa della catanesità che il nostro amatissimo arancino?

Dettaglio della facciata di un’arancineria di recente apertura nel centro storico.

Street food prima dello street food, facile da preparare, personalizzabile in una miriade di gusti, economico (specie se in cucina tieni 2 o 3 aiuti cuoco e li paghi come tirocinanti perché extracomunitari). Il turista chiaramente non può sapere che 3.00 euro è un prezzo che avrebbe indotto noi locali ad erompere in esclamazioni poco cortesi all’indirizzo della cassiera fino a non molto tempo fa. Lui va via soddisfatto dopo aver passato la sua carta contactless sul sum up di recente acquisto del gestore di turno, forse un po’ stupito dal fatto che per l’attivazione del suddetto è stato necessario invocare a gran voce il principale ma felice di gustare la meraviglia di cui tanto ha sentito parlare passeggiando nella cornice barocca che aveva già respirato dalle foto instagram dei suoi connazionali. Magari si sente pure molto fortunato ad avere pranzato con 5-10 euro prima di fare ritorno al suo AirBnB dove pagherà 30-40 euro massimo (il suo host – è lecito supporre – il più delle volte non paga altre tasse sul suo pernottamento che la commissione al provider americano) per un posto letto in un quartiere popolare, o direttamente sulla nave dalla quale è sceso poche ore prima. Verrebbe quasi da chiedersi se quello realmente spetto non sia lui.

Dal canto nostro lo perdoniamo se non riesce ad ordinare un arancino ma sempre e comunque un arancini (con buona pace dei cugini palermitani) mentre tira foto a caso a finti carretti siciliani o ad elefanti posticci di plastica dai colori sgargianti. Lo guardiamo con l’aria compiaciuta di chi la sa lunga ed andiamo a trincerarci dentro al nostro bar di fiducia, che magari non affaccia più sulla Collegiata o sul Castello Ursino, ma dove siamo sicuri di poter trovare qualcuno a cui ammiccare dicendo che in fondo va bene così. Che siamo fortunati e “anzi!” che possiamo approfittare dell’appetito dei forestieri. Che mio cugino ha chiuso la farmacia di famiglia e s’è aperto un’arancineria, adesso praticamente vive in vacanza beato lui. Certo, resterà da chiarire se l’arancino abbia o meno le stesse proprietà analgesiche di un iboprufene quando il figlio piccolo di suo cugino (l’altro) avrà l’otite alle 2 di notte. O se il bambino cresciuto e ormai ragazzetto, volendo fare un figurone con la ragazzina con cui è al primo appuntamento si troverà a suo agio pagando l’equivalente di un ingresso ad Etnaland per due piatti di pasta alla Norma che non ti seccare se glielo dicevo a mia mamma me la faceva meglio e due bicchieri di vino dal valore commerciale di 4 euro, alla bottiglia.

Piccolezze. Forse. Nel dubbio ridiamo, siamo catanesi in fondo.

Ma la domanda che ponevamo sopra suggerisce, purtroppo, anche tanti altri interrogativi potenzialmente molto più drammatici: se è vero che il turismo porta ricchezza, il modello arancino con la sua smaccata essenza cheap, chi sta o potrà arricchire di preciso? La cittadinanza tutta? E come, se le conseguenze del proliferare senza controllo di esercizi commerciali per turisti e di strutture ricettive a la airbnb – leggi: esentasse – sono a breve termine l’aumento dei guadagni privati di chi è o può ambire a diventare proprietario, e nel lungo periodo l’aumento dei costi di accesso alla casa, oltre che ai servizi di prossimità (farmacie, bar, supermercati e negozi) per la stragrande maggioranza dei cittadini? Con i proventi della tassa di soggiorno? Suvvia. E come fare a democratizzare questo processo, a dividere i guadagni secondo la vecchia logica del “vivere di turismo”, se ad essere rappresentati sono soltanto gli interessi, ancora una volta privati, di chi è in posizione avvantaggiata mentre le istituzioni incentivano questo tipo di trasformazioni con esenzioni, infrastrutture e benefici, senza includere nelle valutazioni le conseguenze su quella maggioranza che resterà esclusi?

Mentre ci poniamo queste domande sul futuro neanche così lontano che già è possibile intravedere dietro il velo di retorica delle dichiarazioni estatiche dei nostri politici forse ci sforziamo di ignorare l’enorme ingiustizia già in atto all’interno del centro città: i cosiddetti locali per turisti stanno già rimpiazzando lentamente esercizi commerciali anche storici e chiunque tra i lettori viva in affitto a Catania centro ha sperimentato sulla propria pelle come adesso il canone già alto che versava ogni mese rappresenti spesso la possibilità meno conveniente per il padrone di casa. Il nostro stare al gioco del mercato immobiliare non basta più. La bilancia pende dal lato del turista. Invece di vivere la città, stiamo imparando ad usarla.

Yeah Catania is soo good, so alive! and so cheap! So authentic.

E poi? Cosa avverrà quando l’offerta di servizi turistici supererà la domanda? I cambiamenti che stiamo mettendo in atto con il sostegno convinto delle istituzioni avranno dimensioni strutturali, fisiche, irreversibili sullo spazio urbano. Cosa faremo quando non ci sarà nessuno a mangiare tutti gli arancini che abbiamo già fritto? Organizzeremo una sagra in piazza Università e li svenderemo a metà prezzo per cessazione attività? Distribuiremo croccante al pistacchio nelle scuole e negli uffici pubblici? E chi, da catanese, sarà disposto a vivere in un monolocale BnB riconvertito ad uso domestico magari con affaccio sul Castello Ursino per 600/700 euro mensili?  O forse puntiamo ai viaggiatori long staying, che imparino ad amare la Catania levigata ed asettica che gli abbiamo costuito attorno e rimangano qui con noi qualche anno ad aumentare il costo della vita del quartiere nei cui si sono insediati stabilmente, mentre noi ci impegnamo per convincerci che i Paesi Etnei siano un’alternativa più vivibile e sostenibile? Gli sviluppi più recenti delle sopracitate città globali di fine novecento- inizi duemila dovrebbero avere già messo in guardia i nostri amministratori davanti al rischio di seguire ciecamente certi facili entusiasmi, indurli verso la riflessione e il dialogo. Ci rifiutiamo di credere che la pochezza della loro visione sia da imputare solo a scarsa lungimiranza e a provincialismo. E non crediamo nemmeno che si tratti di autoritarismo tout court. Infatti, ha cause molto più banali a nostro avviso.

Premettendo che contiamo di sviluppare più avanti e meglio questi temi, ci limitiamo per adesso a ribadire che la violenza ed il disagio che si vive nel centro storico di Catania, difficilmente può trovare soluzione nella rigenerazione urbana animata da tali idee. E che già oggi all’ombra del modello arancino intorno a noi più che la valorizzazione del comparto turismo e dei beni culturali si iniziano a vedere i segni di quelle che altro non sembrano essere se non speculazioni ai danni della città di Catania. Grandi imprese economico- finanziare rese possibili da forzature alle già deboli norme sulla regolazione urbanistica tutte a vantaggio di attori di rilievo che da questo nuovo hype dalle conseguenze reali traggono lo stesso vantaggio che potevano ricavare negli anni ’50 o ’60 del novecento dal boom del mattone. L’amministrazione si pone dunque in sostanziale continuità rispetto a questo tipo di logiche e non a caso sempre più abbinato al dibattito sul turismo in città troviamo quello sulle demolizioni, sulla rigenerazione, sul risanamento. Ancora una volta nella storia di Catania, amministrazione e comparto edilizio sembrano aver trovato una preoccupante corrispondenza d’amorosi sensi. Ma di questo parleremo un’altra volta.

                

L’allestimento dell’insegna di un hotel in franchising (sinistra) dettaglio del rione san Berillo (destra)

Ai lettori che sono arrivati fin qua diciamo grazie per aver dedicato il loro tempo a questo nostro tentativo di essere una voce critica riguardo un fenomeno che sicuramente in città desta inquietudini in molti. Inquietudini che forse non sono ancora confluite in un dibattito vero e proprio per l’ambiguità stessa del fenomeno turistico: la domanda su dove finisca lo sviluppo economico e cominci il degrado sociale non si presta a risposte facili, ce ne rendiamo conto. E speriamo che attraverso le nostre parole non sia passato il messaggio che la stasi totale sia da preferire a qualsiasi tentativo di rilanciare l’economia di Catania attraverso il turismo. Non pretendiamo certo di negare che il turismo ha e potrà vitalizzare l’economia cittadina, o che rappresenti un’importante risorsa da sfruttare appieno. Crediamo però fermamente che presentare come soluzione unica ai problemi di un territorio quella di strapparlo alla sua storia ed al vissuto dei suoi abitanti secondo logiche mercantilistiche è di per sé indice dell’agonia di una città. Ce lo insegnano gli studi, ma soprattutto l’esperienza.

Ringraziandovi soprattutto per la pazienza ci teniamo a precisare che il nostro obbiettivo qui è stato quello di delineare le principali tappe di un percorso che è ancora da compiersi pienamente. Quello abbiamo dipinto nella seconda parte è lo scenario peggiore che potrebbe concretizzarsi da qui a pochi anni se non si avvia, a nostro parere, una riflessione seria e partecipata sulla direzione, la qualità e le caratteristiche di un modello di sviluppo turistico per la città di Catania. Scriviamo oggi con viva preoccupazione e in previsione del peggio, con la speranza di essere smentiti dai fatti e concludiamo con alcune brevi riflessioni.

Se è difficile dire no a chi propone guadagni facili e prestigio, proviamo per un attimo a pensare ad una città piena di bellezze, pulita ma con niente da offrire ai suoi abitanti – almeno se non a pagamento. Proviamo ad immaginare una città in cui le nuove generazioni crescono le une contro le altre per via della competizione per i diritti/servizi di base a cui avranno sempre più difficile accesso e smaniose quindi di distinguersi attraverso i consumi, l’unico modo di interazione sociale che hanno saputo imparare. Per non parlare delle minoranze, dell’emarginazione sociale e del disagio allontanato via via sempre più lontano dal centro e reso quindi ancora più pericoloso e devastante per chi ne fa parte e per chi lo subisce. Una città che serve a produrre ricchezza attraverso il turismo rischia di essere organizzata unicamente per questo scopo. E non per viverci, quello lo si può fare altrove.

Oggi c’è chi teme che Catania cambierà radicalmente, chi critica e chi reclama il futuro. Noi siamo preoccupati più di ogni altra cosa che gli interessi privati meglio organizzati puntino tutto sul modello arancino e vincano a man bassa. Se così accadesse, temiamo che in assenza di politiche chiare e di una partecipazione reale avrà luogo il sistematico peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza come conseguenza dell’arricchimento di pochi attori, nuovi o vecchi che siano. Inoltre quel cambio di atmosfera, quella perdita di autenticità che affolla già adesso i dibattitti sulla stampa e sui social ci interessa nella misura in cui a nostro avviso cela sotto termini fumosi la dimensione ben più concreta della riduzione della qualità della vita e dei diritti di base dei cittadini e delle cittadine catanesi. Del nostro diritto alla città. Pertanto invitiamo tutti e tutte a mettere in questione la narrazione da Barcellona minore proposta da media ed autorità e a riflettere criticamente su come i nostri orizzonti, speranze e desideri andranno a interagire con una città che cambia secondo il modello arancino. Cominciamo a farci domande, cerchiamo di individuare insieme responsabilità reali e soluzioni condivise e praticabili per una città che promuova l’incontro tra culture più che lo sfruttamento di cittadini e turisti insieme. Per una Catania che possa recuperare il ruolo che la storia (e anche la geografia) da sempre le ha affidato.